Cura depressione Genova
Tristezza, depressione, depressività
Il lavoro del lutto e le sue complicazioni
Lutto e tristezza sono, in una certa misura, fenomeni fisiologici, connaturati alla condizione esistenziale umana, e la loro totale assenza durante il corso della vita di una persona può essere segno di meccanismi difensivi disadattivi.
Il lutto appare in realtà una vera e propria forma di lavoro psichico che la mente porta avanti per prolungare, attraverso il ricordo, l’esistenza di quanto è andato perduto, e contemporaneamente elaborarne la separazione. Grazie a tale lavoro la mente può ritornare ad essere recettiva nei confronti del mondo esterno.
Tuttavia avviene in alcuni casi che il lavoro del lutto si “inceppi” e i sentimenti luttuosi si prolunghino oltre i ragionevoli limiti temporali, variabili a seconda delle necessità psichiche e dei tempi di ciascuno, andandosi così a configurare il fenomeno del lutto complicato.
La depressione e il lutto hanno in comune una vasta serie di caratteristiche fenomenologiche, tanto che, a partire da questa constatazione, Freud in Lutto e Melanconia (1915) ha per la prima volta teorizzato la depressione come l’espressione di un lutto particolare, ovvero di una perdita di altro tipo, spesso inconscia.
Manifestazioni depressive
Il Disturbo Depressivo Maggiore è uno dei principali motivi di allarme la salute pubblica in tutto il mondo, in quanto è comune (ne soffre una persona su 10) e rappresenta una delle principali causa di disabilità e una dei principali contribuenti al global burden of disease (World Health Organization, 2015).
Gli elementi fenomenologici che caratterizzano un Episodio Depressivo Maggiore in particolare e gli stati depressivi in generale sono, oltre all’alterazione del tono dell’umore, che nei bambini e negli adolescenti può essere anche irritabile, la diminuzione delle energie o del piacere o dell’interesse nei confronti della maggior parte delle attività, le alterazioni del sonno e dell’appetito, l’agitazione o il rallentamento psicomotori, i sentimenti di autosvalutazione o colpa, la riduzione delle capacità di concentrazione, ed, in alcuni casi, l’ideazione anticonservativa.
Oltre al classico disturbo depressivo è possibile incontrare depressioni “sottosoglia” ma molto durevoli, che rispondono al nome di Disturbo Distimico, e caratteristiche di personalità di tipo depressivo (Mc Williams, 1994), effetto dei meccanismi psichici che caratterizzano gli stati depressivi, ma che, essendosi strutturate come aspetti del carattere, tendono ad essere egosintoniche, cioè sono considerate parte di sé e non riconosciute dalla persona come manifestazione di un problema. Si tratta di persone caratterizzate da potente autocritica, che presentano difficoltà ad esprimere rabbia nei confronti degli altri, il cui umore assume spesso coloriture melanconiche, spesso sensibili e tolleranti nei confronti degli errori altrui, fortemente orientate a preservare le relazioni.
A volte possono essere considerati equivalenti depressivi, ovvero manifestazioni di depressioni “latenti”, alcune turbe somatiche quali cefalee, stanchezza persistente, insonnia, disturbi gastrointestinali, dolori cronici non dovute ad altra condizione medica e in assenza di depressione manifesta, l’ipocondria, i disturbi d’ansia, l’abuso di sostanze e, soprattutto negli adolescenti, la tendenza ad agire impulsivamente, l’eccessiva preoccupazione per l’aspetto fisico e la noia.
Il “negativo” della depressione, effetto, secondo la comprensione psicoanalitica, di un sostanziale diniego degli affetti e dell’ideazione depressiva, è la mania, una condizione clinica caratterizzata da umore persistentemente elevato o irritabile, autostima ipertrofica, diminuito bisogno di sonno, aumentata tendenza all’impulsività, aumentata loquacità e/o velocità del decorso del pensiero, agitazione, aumentata produttività in diverse aree della vita. Un Episodio Maniacale o, nella sua versione “sottosoglia”, ipomaniacale, può alternarsi in vario modo con gli Episodi Depressivi, mentre all’alternanza di stati clinici che recano disagio ma che non soddisfano i criteri per gli Episodi Depressivi o Ipomanicali si dà il nome di Ciclotimia.
Le forme della depressione
Gli stati depressivi classicamente osservati dai clinici si rifanno al modello della depressione da colpa, teorizzata, come sopra accennato, da Freud, come l’equivalente fenomenologico del lavoro del lutto che la mente mette in atto davanti ad una perdita, conscia o inconscia, che per vari motivi risulta difficile da accettare. Un lutto impossibile dunque, alla cui radice risiede una modalità relazionale particolarmente ambivalente o narcisistica (intesa come scelta di un oggetto in quanto assimilabile a come il soggetto è, era, vorrebbe essere, quindi come scelta speculare di un oggetto tramite cui il soggetto possa rispecchiarsi). Il rivolgimento della rabbia nei confronti dell’oggetto perduto, assimilato dentro di sè (l’ombra dell’oggetto ricade sull’Io, Freud 1915) contribuisce al senso di colpa che spesso caratterizza il depresso “classico”.
Nel corso del secolo scorso è andata sempre più configurando una condizione clinica di tipo eminentemente caratteriale caratterizzata da stati depressivi connessi al senso di vergogna e di vuoto più che al senso di colpa e all’autocritica. Si tratta di soggetti afflitti da forti fragilità a livello di assetto narcisistico di base, fortemente dipendenti dalle conferme provenienti dall’esterno, necessarie per sostenere un’autostima fortemente vacillante. A questo livello ad innescare le reazioni depressive non sono perdite o avvenimenti vissuti con senso di colpa ma attacchi, reali o percepiti, all’immagine di sé che l’individuo cerca faticosamente di mantenere tramite varie strategie, rispetto, solitamente, da un Ideale dell’Io implacabile che impone alti standard a livello di comportamento, di aspetto fisico, di performance etc. Che il soggetto si confronti direttamente con i propri vissuti di inferiorità e tenda ad idealizzare l’altro o metta in atto meccanismi difensivi che lo portano ad idealizzare se stesso e svalutare l’altro, la frustrazione narcisistica è sempre dietro l’angolo e la suscettibilità è molto imponente. Una delle principali differenze con la depressività da colpa è che qui il giudice non è interno, ma esterno, è lo sguardo dell’altro.
Il senso di vuoto caratterizza anche le persone con tratti di personalità di stampo anaclitico, caratterizzate da forte sensibilità alla rottura di rapporti interpersonali molto investiti, evento che il soggetto si sforza di evitare ad ogni costo e che può scatenare profondi vissuti depressivi legati ad intense sensazioni di solitudine e di impossibilità a contare sulle proprie risorse per poter avere protezione. L’abbandono è vissuto come un evento catastrofico spesso perché l’altro viene caricato da funzioni di appoggio e protezione, proprio come nei quadri narcisistici viene spesso caricato di funzioni di conferma alla rappresentazione di sè.
Particolarmente difficile da riconoscere in quanto tale è invece la depressione essenziale depressione “senza oggetto e senza parola” (Marty, ), caratterizzata da una perdita radicale degli investimenti psichici, tale per cui il pensiero diventa operatorio e orientato all’esterno, le relazioni appaiono “bianche”, poco caratterizzate affettivamente, grande attenzione viene data ai fatti concreti senza che questi possano rimandare ad altro, possano assumere carattere simbolico.
Tristezza e depressione in adolescenza
L’adolescente fa per la prima volta profonda esperienza del limite della condizione umana e dell’irrevocabilità del passare del tempo, e dei profondi vissuti depressivi (fisiologici) ad essi associati.
Inoltre il profondo rimaneggiamento delle identificazioni con i genitori, che devono essere allentate per essere rielaborate e fatte proprie in altra forma, lascia spesso l’adolescente in balia di un periodo di forte indefinitezza identitaria, con i conseguenti vissuti di vuoto. Il narcisismo dell’adolescente, pesantemente messo alla prova dagli eventi sopra descritti, viene sfidato dalla perdita del rispecchiamento che caratterizza la relazione genitore-bambino. Il senso di vuoto si pone quindi come espressione del “vuoto d’oggetto” perduto, del vuoto identitario e di quello narcisistico. Sul fronte del mondo esterno alla famiglia inoltre l’adolescente deve confrontarsi, pur non ancora definito, con le sfide poste dall’entrare in contatto con il mondo dei coetanei e dei professori, campo in cui si gioca la partita del riconoscimento narcisistico e identitario. Non stupisce allora che l’adolescenza sia un periodo particolarmente delicato per quanto riguarda l’insorgenza e l’eventuale strutturarsi di vissuti e configurazioni depressive.